I.R.I. Istituto per la Ricostruzione Industriale, una storia che continua…
Avanti, avanti, la vittoria
è nostra e nostro è l’avvenir;
più civile e giusta, la storia
un’altra era sta per aprir.
L’internazionale (versione italiana)
Caro Lettore,
forse sei capitato su questa pagina pensando di trovarci il sito di una delle più grandi conglomerate industriali a controllo pubblico del mondo, purtroppo non è così.
L’IRI non c’è più da diversi anni, sminuzzato e polverizzato in mille frammenti nel tentativo di riportare le lancette della storia a un’Italia pregiolittiana, un’Italia senza i partiti di massa e i sindacati, un’Italia di sudditi e non di cittadini, un’Italia di privilegi e non di diritti. Un’Italia come quella che ci circonda, insomma, perché purtroppo il tentativo è perfettamente riuscito.
Era mio, tuo, nostro e non lo è più, quindi bisogna riprenderselo, certo adattandone la formula al mutato contesto socioeconomico, alla maturata consapevolezza sui temi ambientali e alla necessità di formulare un nuovo paradigma economico, ma quella storia oggi, seppur solo sul web, è tornata. Lo dico con umiltà e nella piena consapevolezza che solo usare questo nome è qualcosa di così immensamente più grande della dimensione testimoniale in cui queste istanze sono oggi relegate, che potrebbe sembrare quasi grottesco.
Un po’ come quando da bambini ci si prova un paio di scarpe da adulto, eppure quelle scarpe un giorno saranno le nostre scarpe e le useremo per camminare.
La Storia è sempre stata fatta da persone piene di difetti e debolezze, la cui statura può essere apprezzata solo con il distacco del tempo, per tale ragione spero che queste poche battute possano un giorno essere ricordate come il primo sassolino (parlare di prima pietra è già troppo…) di una nuova Italia; per dirla con Churchill dopo la Battaglia di El Alamein questa non è la fine, non è nemmeno l’inizio della fine. Ma è forse la fine dell’inizio.
Parafrasando una frase che ha portato fortuna: “uno spettro si aggira per l’Italia”.
Se c’è un insegnamento da ritrarre dalla parabola dell’IRI è quello per cui, mai come in questo caso, si può cogliere quanto sia facile e veloce distruggere e quanto lento, complesso e faticoso sia costruire, e molto spesso le conseguenze sono comunque irreparabili.
Sfruttamento, sopraffazione, prevaricazione e disuguaglianza dominano incontrastati.
I valori della cittadinanza sono svuotati e umiliati, ed è proprio in momenti come questo che torna prepotente la necessità di un nuovo protagonismo politico ed economico per la vasta congerie di ceti subalterni e oppressi. Mai come oggi, nell’epoca del nuovismo posticcio, abbiamo bisogno di grandi idee e intuizioni, di ritrovare il filo che lega ‘la lunga lotta sempre diversa per il riscatto del genere umano’, citando Italo Calvino ne ‘Il sentiero dei nidi di ragno’.
Abbiamo subito un’opera di rimozione culturale e ora è necessario alzare la testa e riprenderci quello che ci spetta, ho iniziando acquistando il dominio: era libero e l’ho comprato, sperando di poterlo poi cedere gratuitamente al ‘vero IRI’ quando tornerà anche nella vita reale e non solo sul web. Indicativo che nessuno abbia pensato di spendere due spiccioli per questo dominio: oggi quella gloriosa storia non vale nemmeno il prezzo di un rottame.
L’IRI torna per questo, non per nostalgia, per passatismo, per consolazione, torna invece per essere la forza motrice di una nuova stagione di impresa pubblica e democrazia economica. Una stagione in cui davvero la macchina ‘sia alleata e non nemica ai lavorator’ e ‘la vita rinnovata all’uom darà pace ed amor’.
Insomma, questo vuol essere la nostra risposta al ‘mito della start up’. L’IRI è la miglior start up che possa esserci, oggi.
Mai come oggi abbiamo a disposizione informazioni, tecnologie e possibilità di mettere in circolo le idee, eppure mai come oggi i benefici di tali progressi sono uno strumento di asimmetria economica e, quindi, di dominio politico. La collettività deve tornare ad appropriarsene, così come devono tornare in mano nostra le grandi leve bancarie, assicurative, infrastrutturali, energetiche e industriali. Un rovesciamento dei rapporti è, insomma, il minimo sindacale cui puntare come rivendicazione politica o, per dirla con Naomi Klein nelle conclusioni del suo ultimo ‘Una rivoluzione ci salverà’ (Rizzoli), “…costruire per davvero quel mondo che ci terrà tutti al sicuro. La posta in gioco è semplicemente troppo alta, e il tempo è troppo breve per accontentarci di qualcosa di meno” (p.618). Poco prima lei parla di “fugaci sacche di spazio liberato” in contrapposizione al cambiamento sistemico oggi improcrastinabile, sia da un punto di vista ambientale che dei rapporti economici. Espressione molto azzeccata, il mondo sta cambiando: cresce come un’onda inarrestabile la consapevolezza sui temi delle filiere economiche pulite, sul commercio equo e solidale e sulle scelte di consumo, sul riciclo e le energie alternative, sulla necessità di ridurre gli sprechi, sulla finanza etica, sull’organizzazione territoriale e la partecipazione (pensiamo solo a una realtà come ‘Comuni virtuosi’) anche nei luoghi di lavoro (pensiamo al tema del workers buyout), ma tutto questo non ha un impatto di vasta scala perché queste istanze non sono fatte proprie a livello di sistema. Ecco che il coordinamento di un attore sul modello della holding, proiettata sugli interessi pubblici ma con l’agilità gestionale e organizzativa del ‘privato’ può essere ancora oggi la formula più efficace e proattiva.
Il problema, difatti, non è ‘la crisi’ o ‘la disoccupazione’ quanto la drammatica assenza di bussole per orientarsi in un percorso di uscita. Quella bussola è quella cosa oggi altrettanto negletta: l’ideologia. Ci sono dei simpatici beoti per cui ‘le ideologie sono morte’ e/o finite, come se il TINA (there is no alternative) che il sistema egemone impone fosse qualcosa a fondamento metafisico.
Riorganizzare e rendere sistemici gli approdi più avanzati e le intuizioni migliori è, a mio credere, il compito che l’IRI dovrà assolvere nel XXI secolo.
Non essere più un paese a matrice industriale completa è stato un esito funzionale all’acquisizione strutturale del modello veicolato dalla filiera UE/USA/NATO, oggi suggellato con il TTIP, il famigerato trattato transatlantico di libero scambio, per cui il nostro Paese è destinato a diventare- più di quanto già non sia- un parco buoi di consumatori per multinazionali e una repubblica delle banane da defraudare, per quello che dovesse rimanere.
Il ritorno dell’I.R.I. segna anche un momento di rottura con l’ordine giuridico-economico del Bruxelles consensus, con il mito del consumatore che sostituisce il cittadino, con l’idolatria del mercato e con la concorrenza assunta a imperativo categorico.
Repressione finanziaria, cioè il controllo sui movimenti di capitale con vincoli sia di tipo amministrativo che legislativo e flessibilità del cambio unitamente all’ impresa pubblica sono gli snodi da riportare al centro del dibattito nella società e all’ordine del giorno nella politica.
Tutto ciò sempre nella prospettiva di far ripartire quella storia e di costruire un’alternativa politica in questo Paese. Per questo sto lavorando, non da solo, ma assieme ad altri amici, se vuoi darci una mano, ti aspettiamo.
Se invece fossi interessato ad approfondire la storia e le vicissitudini dell’IRI l’opera scientificamente più completa e articolata è la ‘Storia dell’IRI’ di Laterza
… Ovviamente l’auspicio è che possa presto uscire un nuovo volume: “La rinascita e la seconda decade del XXI secolo”.
Sotto trovi dei ‘siti amici’ che ti invito a visitare, anche questo è un modo per sostenere questo progetto.
Tiochfaidh ar la (il nostro giorno verrà! Motto patriottico irlandese)
Alberto Leoncini
PS. Avviso sin d’ora che mail di offesa, pistolotti sul ‘carrozzone’, sulla ‘corruzione’, sui ‘politici ladri’ e sugli ‘sprechi’ verranno cestinate senza passare dal via, quindi risparmiate pure il tempo necessario per scriverle e usatelo per godervi fino in fondo il mondo attuale, che tanto vi piace.